Ben Weber

Marika Terzoli

Ben Weber

La nostra redattrice Marika Terzoli rielabora l’episodio storico della pace in trincea del 1914 sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale e lo trasforma in un racconto nuovo e molto originale.

Quanti anni poteva avere? Boh, sui sedici/diciassette. E faceva una vita bella, non perfetta, ma bella:  lavorava nei campi e con le bestie aveva un buon rapporto. Però un giorno, come a me, gli proposero di diventare soldato. Accettammo entrambi; chissà, magari questo lavoro ci avrebbe offerto più soldi…

Il tempo di pensare se era una truffa o no e già si ritrovò vicino a Ypres, in Belgio. Si sentiva uno stupido, un manichino di fianco a centinaia di soldati: vestiti tutti uguali, armati in modo identico, similmente addestrati. I primi giorni mi ripeteva, stropicciandosi le mani, che era a metà tra il timore e la gioia di uccidere.

Passata la prima settimana, il suo spirito da allevatore prese il sopravvento: come sparava ai maiali, fucilava gli Inglesi. Era soddisfatto della sua piccola strage.

Se ne accorse solo quando si ritrovò a “rilassarsi” in un buco scavato da lui, che tutto ciò era scandaloso, non umano.

Aveva la fatica impregnata insieme alla terra nel corpo. Desiderava solo correre via e non tornare mai più, mi ripeteva la sera in tenda.

Anche riposarsi nel suo misero buco era diventata una tortura: le nostre orecchie erano martellate dagli spari.  Avrei dato la mia porzione di carne essiccata per un giorno di puro silenzio.

Non ti rendi conto della fortuna che hai fino a che non te la tolgono.

Mancavano pochi giorni al Natale; già sapevamo che sarebbe stato il Natale più triste di tutti. Invece nella trincea iniziammo a scambiarci dei favori, me lo ricordo come se fosse stato ieri!

“Un soldato inglese mi beccò nel buco. Inizialmente prese la mira per spararmi dritto in bocca. Io alla sua vista mi rassegnai, cosa potevo fare? Le mie palpebre diventarono dei macigni, le mie gambe accarezzarono le pareti del mio nido, le mie braccia ormai segnata dalla guerra e dal sonno si lasciarono andare come quando una foglia, dopo che è cresciuta sull’albero, cade sapendo che degenererà e basta. La mia testa si incollò alla spalla destra. Rimasi lì.

1, 2, 3… 6, 7, 8 secondi… riaprii gli occhi: perché non mi spara?, mi disse la voce nella mia testa. 

Quando l’acqua che mi annebbiava gli occhi scomparse, lo notai subito: era lì quel soldato, davanti a me, mi scrutava come fossi un animale mai visto prima.

Probabilmente sembravo un tizio a caso appena risvegliato da un coma.

Lui mi tese la sua mano, io strabuzzai gli occhi come quando mio nonno non riusciva a leggere qualcosa sul giornale, da idiota insomma. Io gli porsi la mia e mi diede uno strattone che magicamente mi fece ritornare nel mondo.

“Hello!”, “Hallo!” si salutammo”.

Questo fu quello che mi raccontò Ben la sera dopo l’incontro, la sera di Natale. Ben Weber era un mio amico, lo conobbi agli addestramenti. Io vengo dal sud, aiutavo mia nonna a cucinare, quindi vi lascio immaginare quanto fossi pronto a 16 anni ad andare in guerra. Infatti diventammo amici: stessa età, nati nello stesso paese anche se non c’eravamo mai visti…

A Natale ci ritrovammo a giocare a calcio Inglesi vs Tedeschi, un sollievo per la nostra sanità mentale. Un miracolo.

Il giorno dopo vidi uno spettacolo orrendo, ancora peggiore di tutti quelli a cui avevo assistito fino a quel momento.

 “Ben attentooooo!!!!”

Mi lanciai verso quella mitragliatrice di m**** che colpì Ben. Aveva le mani sporche del suo stesso sangue. Mi ripiegai su di me in lacrime; come un conato di vomito acido l’odio mi stava in pancia.  Mitragliai quello schifoso, ma per Ben non c’era niente da fare.

I nipoti, dopo aver ascoltato la storia di Ben Weber, si appisolarono sul divano del nonno. “Buonanotte!”

Ben Weber