Breve storia del Moschetto

Matteo Nebel

 Breve storia del Moschetto

Fucile Brown Bess, moschetto utilizzato dal Regno Unito dal 1722 al 1860 circa

La parola “moschetto” ha avuto nel corso della storia diversi significati, tuttavia il più comune è: arma da fuoco ad avancarica derivata dall’archibugio.

Sviluppatosi dal XVI secolo, inizialmente fu usato solo dai moschettieri e nel tercio spagnolo, un’organizzazione militare che prevedeva di mischiare i picchieri (cioè i soldati armati di picca) con i fanti dotati di armi da fuoco in modo che i picchieri potessero proteggere i compagni durante il loro momento di debolezza, cioè quello della ricarica.

Fu poi progressivamente usato da tutti gli eserciti europei fino a quando venne sostituito dai fucili a retrocarica agli inizi del XX secolo, alla vigilia della Prima guerra mondiale.

All’inizio il moschetto era molto pesante, i moschettieri disponevano infatti di un cavalletto su cui montarlo. La differenza tra moschetto e archibugio sta nel fatto che l’archibugio doveva essere appoggiato al petto, mentre con il moschetto venne introdotto il calcio, che permetteva di appoggiare l’arma alla spalla garantendo più precisione.

Il moschetto vide diversi meccanismi di sparo durante l’evolversi del suo utilizzo.

Meccanismo a pietra focaia

Meccanismo a ruota

Meccanismo a miccia

Moschetto a percussione

Capsule al fulminato di mercurio

Il primo fu il meccanismo a miccia: il moschettiere prima prendeva una fiasca contenente polvere nera fina e la versava dentro lo scodellino, un piccolo imbuto metallico collegato alla culatta della canna; poi prendeva dalla bandoliera una palla di piombo e dei contenitori di legno di bosso (da qui il nome “bossolo”) con della polvere nera grossa; infine pigiava anteriormente tutto sul fondo della canna con un’astina. Per sparare bisognava accendere una miccia a lenta combustione (sostenuta da un uncino metallico chiamato  “serpentina”) e avvicinarla allo scodellino tenendola in mano (poi questo delicato passaggio avvenne tramite il grilletto, anche per le lamentele dei soldati che si bruciavano spesso…) e facendo incendiare la polvere fina che trasmetteva il fuoco alla polvere grossa che esplodeva e proiettava la palla fuori dal fucile. Essendo a canna liscia, questi fucili erano molto imprecisi ed era raro colpire il bersaglio a distanze maggiori di 50 metri.

Il secondo fu il meccanismo a ruota nel quale invece che esserci una miccia c’era una grossa molla che, caricata con un’apposita chiave, metteva in movimento una ruota dentellata che sfregava contro un pezzo di pirite e generava delle scintille che accendevano la polvere fina e di conseguenza anche quella grossa. Il meccanismo era tuttavia molto costoso e delicato e fu quindi utilizzato solo nelle carabine della cavalleria, unità militare che trovava poco pratico il sistema a miccia.

Il terzo fu il meccanismo a pietra focaia (adottato verso la fine del XVII secolo e dismesso nella prima metà del XVIII per via dell’invenzione del successivo moschetto a percussione): alla destra dell’arma si trovava la piastra di scatto alla quale erano fissati il cane con una pietra focaia e lo scodellino. Per ricaricare il soldato prima prendeva dalla cartucciera una cartuccia fatta di carta e contenente una dose di polvere da sparo fine in una sezione e una dose grossa e la palla di piombo in un’altra; poi la strappava con i denti (le fonti raccontano che molti disertori durante le Guerre napoleoniche si toglievano i denti necessari a questa operazione in modo da non poter essere arruolati…) e infilava la polvere fine nello scodellino; successivamente chiudeva lo scodellino con un pezzo di ferro chiamato martellina e metteva la cartuccia sulla sommità della canna spingendola in fondo con l’astina (che veniva portata in un apposito spazio sotto la canna). Per sparare il soldato doveva armare il cane e premere il grilletto: facendo scattare il cane contro la martellina si creavano  delle scintille che incendiavano la polvere fina e diffondevano il fuoco alla polvere grossa che, esplodendo, proiettava la palla di piombo fuori dalla canna. I moschettieri migliori sparavano 2 o massimo 3 colpi al minuto. Questo tipo di moschetto era molto avanzato rispetto ai vecchi modelli e già durante la Guerra d’Indipendenza americana il Moschetto Charleville poteva arrivare a una gittata massima di 200 metri circa; inoltre l’avvento della baionetta risolse il problema della debolezza durante la ricarica e fuse due soldati in uno, i picchieri e i moschettieri.
L’ultimo meccanismo fu quello a percussione (utilizzato ancora oggi in maniera leggermente diversa) legato alla scoperta, avvenuta nel 1849, che alcuni composti chimici esplodono se colpiti violentemente. Le capsule al fulminato di mercurio sostituirono quindi la polvere fina e la pietra focaia. Questo cambiamento era necessario innanzitutto perché permetteva di risparmiare tempo durante la ricarica e poi perché la pietra focaia non sempre creava scintille (questo problema si riscontrava per esempio negli ambienti molto umidi) e dopo circa 40 colpi era già usurata. Quest’ultimo meccanismo gettò le basi del fucile come lo intendiamo noi oggi, infatti bastò adottare le pallottole miniè (cioè quelle di forma più ogivale) e la retrocarica per trasformarlo nei fucili usati nella Prima guerra mondiale.

Moschetto Charleville, usato dalla Francia dal 1777 al 1816

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