UNA MALATTIA CHE TI CAMBIA LA VITA

Sara Casati

UNA MALATTIA CHE TI CAMBIA LA VITA

Pochi anni fa, mentre guardavo come mio solito le Olimpiadi solo per vedere la mia unica fonte di ispirazione sportiva, Federica Pellegrini, attraverso una pubblicità hanno comunicato che si sarebbero tenute le Paralimpiadi. Non sapevo cosa fossero ma, incuriosita, mi prefissai di vederle tutte, di qualsiasi sport; notai subito questa ragazza così particolare e capii all’istante che era tenace e lottava per raggiungere il suo obiettivo, allora decisi di informarmi. Se non lo avete ancora capito lei è Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio Grandis, conosciuta come Bebe Vio, nata a Venezia il 4 marzo 1997. 

Bebe è una schermitrice paralimpica italiana specializzata nel fioretto. Ma com’è diventata campionessa paralimpica? Adesso ve lo racconto.

In classe, durante le ore di antologia, abbiamo letto alcuni brani estrapolati dal suo libro “Mi hanno regalato un sogno” che mi hanno incuriosita, così ho deciso di comprarlo e ho scoperto cose nuove di lei che non mi sarei mai immaginata.

Bebe si innamora di questo sport con “un colpo di fulmine”, come afferma lei stessa nel suo libro. Per caso, quando stava provando pallavolo, nella porta di fronte al campo vede degli “zorro vestiti di bianco”, così a bruciapelo trova la sua passione che la accompagnerà per tutta la vita: la scherma. 

Il 20 novembre 2008, a 11 anni, le viene purtroppo diagnosticata la meningite, che le causa un’estesa infezione tanto che sia gli arti superiori che quelli inferiori le devono essere amputati.

Dopo l’amputazione degli arti, Bebe inizia a frequentare il Centro Protesi di Budrio e un giorno all’ingresso si imbatte nel banchetto del CIP (Comitato italiano paralimpico).

Inizialmente non sa cosa sia lo sport paralimpico, ma vuole continuare a tirare di scherma e lo dice a tutti, anche a Melissa Milani, allenatrice di goalball (un gioco per ciechi e ipovedenti simile alla pallamano). Mentre Bebe fa progressi con le gambe, Melissa le propone la scherma in carrozzina.

Un venerdì di luglio Melissa organizza una gita a una scuola di scherma paralimpica e Bebe ci va titubante.

L’atleta pensa a lungo alla proposta di riprendere a tirare di scherma e alla fine accetta. Risultato? Sei incontri di fila; la forte determinazione a non mollare (“no! da qua non scendo”); la resistenza alla sofferenza fisica (il braccio amputato, a causa delle continue sollecitazioni, le sanguina…); la felicità alle stelle ed emozioni assurde.

Nel frattempo Melissa parla di Bebe all’allenatore della nazionale paralimpica di scherma, Fabio Giovannini. All’inizio è titubante all’idea di farla entrare nella squadra, ma grazie a Melissa se ne convince.

Le pagine del libro che più mi hanno colpita sono quelle in cui Bebe racconta che le piace la scherma in carrozzina perché non puoi fuggire a fondo pedana, sei bloccato, la distanza tra te e l’avversario è sempre uguale: quindi se non puoi scappare, non puoi avere paura.

Quando Bebe gareggia prova emozioni che sente solo in quel momento come accade alla maggior parte degli atleti, e quando succede che ci si faccia male, se lo sport che fai ti piace, vai avanti e niente ti ferma, esattamente come capita a me quando sono in vasca. Lei stessa ammette di essere “drogata” di scherma…

Anni dopo Bebe fonda art4sport onlus, un’associazione di sport paralimpici per bambini disabili, così che altri ragazzi come lei possano iniziare da subito a fare sport. Grande Bebe Vio!

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